Shorty canta Fagen, e tutti giù per terra, come Skin

Quando Tullio Ricci mi chiese chi potevamo chiamare a recitare la parte di Donald Fagen, nel suo capolavoro multimilionario ‘The nightfly’, non ho avuto un attimo di esitazione, ho risposto Davide Shorty. Naturalmente nessuno di questi ossessivi topi da biblioteca della band, la biblioteca essendo la grande enciclopedia del jazz, fatta di crediti su vecchi vinili e di date, oltrechè di sottilissime profondità di fraseggio e polifonie algoritmiche, all’orecchio medio tutte uguali e fastidiose, nessuno di questi nebbiosi figuri che vestono scoordinatamente (così tanto che il fashion li tiene d’occhio e ci si fa ricco, poi), che non si occupano di altro nella vita che di indagare sui sacri equilibri armonici di un assolo di Bird di due giri da trentadue battute, nessuno di loro, dicevo, sapeva chi Davide Shorty fosse mai. Ma io si, io lo sapevo. Davide è quello che in America si definisce un ‘natural’, talento allo stato puro. Davide è giovane, è siciliano di Palermo, è un incrocio tra il bizantino e il nordafricano, è molto intelligente e carismatico, le quali doti sono armi a doppissimo taglio, in una prospettiva di ottenimento del successo commerciale, ama i suoni e ama produrli, e le donne di norma sono incantate da lui. Bè, la faccio breve, a Tullio, per spiegargli chi era Davide e perchè fosse l’uomo giusto ho detto ‘Vai a vederti il video delle audizioni a xfactor quando canta Iron sky , e guarda la faccia di Skin’. Andate a rivederla anche voi, se vi capita, amici, la trovate qui. A Skin è caduta letteralmente la mascella, qualcuno poi, come  Sordi in ‘Una vita difficile’, deve averle detto ‘Valla a raccoje, va…’.



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